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Che cosa fare se l’ex inquilino non cambia residenza?
Che cosa fare se l’ex inquilino non cambia residenza?
Qualche mese fa il conduttore di un appartamento di mia proprietà ha cambiato casa. Tutto bene per la consegna delle chiavi e della caparra, ma dopo è avvenuto qualcosa di inaspettato. Facendo delle ricerche presso il Comune ho scoperto che l’ex inquilino non aveva ancora cambiato residenza.
Insomma non abita li ma risulta ufficialmente residente. L’ho chiamato ed ha glissato seccato con un vago: “Me ne occuperò quanto prima!” Che cosa posso fare per ottenere il cambio di residenza d’ufficio?
La questione non è di poco conto e spesso può portare con sé conseguenze sgradevoli. Si pensi ai tentativi di pignoramento (presso la residenza), ma anche semplicemente alle seccature che ne discendono per la consegna della corrispondenza.
Partiamo dal dato certo che impone ad ogni persona di segnalare al Comune competente il cambio di residenza. Si tratta dell’art. 2, primo comma, legge n. 1228 del 1954 che recita:
È fatto obbligo ad ognuno di chiedere per sé e per le persone sulle quali esercita la patria potestà o la tutela, la iscrizione nell’anagrafe del Comune di dimora abituale e di dichiarare alla stessa i fatti determinanti mutazione di posizioni anagrafiche, a norma del regolamento, fermo restando, agli effetti dell’art. 44 del Codice civile, l’obbligo di denuncia del trasferimento anche all’anagrafe del Comune di precedente residenza.
Il d.p.r. n. 223 del 1989 – che della legge n. 1128 rappresenta regolamento di attuazione – specifica che tra le dichiarazioni che le persone sono tenute ad effettuare all’ufficiale dello stato civile v’è anche quella inerente il cambiamento di abitazione (cfr. art. 13 d.p.r. n. 223/89).
Questi gli obblighi della parte interessata, nel nostro caso l’ex inquilino. Che cosa accade se esso non adempie a quanto prescritto dalla legge?
Come si suole dire in casi simili, al proprietario dell’appartamento non resta che rivolgersi alle autorità competenti, nel caso di specie il Comune e più nello specifico l’ufficio anagrafe.
L’Ufficiale di Stato civile, lo ricorda l’art. 4, secondo e terzo comma, l. n. 1128/54 “può disporre le indagini per accertare le contravvenzioni alle disposizioni della presente legge e del regolamento per la sua esecuzione” ed può invitare “le persone aventi obblighi anagrafici a presentarsi all’ufficio per fornire le notizie ed i chiarimenti necessari alla regolare tenuta dell’anagrafe. Può interpellare, allo stesso fine, gli enti, amministrazioni ed uffici pubblici e privati”.
Al termine di queste indagini l’Ufficiale di Stato civile comunica agli interessati le loro risultanze (cfr. art. 15 d.p.r. n. 228/89) e commina le dovute contravvenzioni.
Contravvenzioni? Il termine riguarda la vecchia formulazione che prevedeva delle sanzione penali pecuniarie. Ad oggi, comunque, risultare inadempimenti rispetto ai propri obblighi anagrafici comporta, se il fatto non costituisce reato più grave, la sanzione amministrativa da lire 50.000 a lire 250.000 (cfr. art. 11 l. n. 1128/1954).
Chi paga le spese di pulizia e sostituzione della grondaia?
Per rispondere alla domanda posta nel titolo dell’articolo è, prima d’ogni cosa, utile ricordare che cos’è una grondaia.
Il vocabolario della lingua italiana, definisce la grondaia come il canale, in genere di lamiera metallica, che segue la linea di gronda della falda di un tetto, riceve le acque raccolte dalla falda stessa e le convoglia fino ai pluviali o alle bocche di scarico.
Essa, quindi, altro non è che un sistema di raccolta delle acque che si collega ad un pluviale – che generalmente scende verticalmente appoggiato o incassato nella facciata dell’edificio – che termina sua volta in una bocca di scarico.
La grondaia non è specificamente menzionata dall’art. 1117 c.c.; ciò, però, non vuol dire che essa non debba essere considerata bene di proprietà comune.
È utile ricordare, infatti, che dottrina e giurisprudenza sono concordi nello specificare che l’art. 1117 c.c. contiene un’elencazione meramente esemplificativa, e non tassativa, di parti dell’edificio, servizi ed impianti di proprietà comune (cfr. tra le tante Cass. 4 giugno 2014 n. 12572).
D’altra parte lo stesso art. 1117 n. 3 c.c. specifica che sono oggetto di proprietà comune, salvo diversa indicazione del titolo (leggasi atto d’acquisto e regolamento) “le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere destinati all’uso comune, come gli ascensori […]”. L’uso dell’avverbio “come” lascia intendere l’elencazione esemplificativa.
In questo contesto, pertanto, a dirlo è sempre la Cassazione, per considerare condominiali beni non menzionati dall’articolo del codice civile di apertura di quelli dedicati al condominio deve sussistere un rapporto “strumentale e funzionale che collega i piani o le porzioni di piano di proprietà esclusiva agli impianti o ai servizi di uso comune, rendendo il godimento del bene comune strumentale al godimento del bene individuale e non suscettibile di autonoma utilità, come avviene invece nella comunione” (ex multis Cass. 2 marzo 2007, n. 4973).
In tale contesto fattuale non v’è dubbio che, in ragione della sua funzione – convogliare a terra le acque meteoriche cadute sul tetto – la grondaia debba essere considerata un manufatto di proprietà comune a tutti i condomini proprietari di unità immobiliari ubicate nell’edificio che essa serve.
Acclarata la sua natura condominiale, si pone, quindi, il problema della ripartizione delle spese di manutenzione e sostituzione.
Al riguardo è utile ricordare che ai sensi dell’art. 1123, primo comma, c.c. “le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell’edificio per la prestazione dei servizi nell’interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione”.
Non paiono sorgere particolari problematiche sull’inquadramento di tali interventi e delle relative spese nell’ambito di quelle di conservazione del bene comune, quindi, salvo diverso accordo, le spese di pulizia, sostituzione e riparazione devono essere ripartite in base ai millesimi di proprietà.
Fin qui abbiamo ragionato dando per presupposto che il tetto fosse bene comune; e se, invece, la copertura dell’edificio è di proprietà esclusiva? La grondaia, in questi casi, dev’essere considerata un bene comune a se stante o una pertinenza del tetto e come tale soggetta allo stesso regime di ripartizione delle spese?
Ad avviso di chi scrive poiché, come recita l’art. 817, primo comma, c.c. “gli atti e i rapporti giuridici che hanno per oggetto la cosa principale comprendono anche le pertinenze, se non è diversamente disposto” vale la seconda ipotesi succitata.