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Airbnb versa la tassa di soggiorno ad appena 23 Comuni su 1.020.

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Un’imposta che da sola vale circa 600 milioni di euro, ma che viene applicata solo in una piccola percentuale dei Comuni italiani e praticamente soltanto dalle strutture ricettive «tradizionali», mentre per chi affitta con portali come Airbnb la situazione è controversa: è la tassa di soggiorno.

Un balzello che potrebbe fruttare molto di più se solo fosse più facile esercitare la riscossione: gli albergatori e gli affittuari, che la incassano dai clienti, sono infatti tenuti a riversarla al Comune di appartenenza, ma esistono diversi casi di «grigio». Tra questi spicca la situazione di chi affitta tramite portali Internet per locazioni brevi, come appunto Airbnb: per ovviare al problema la piattaforma ha avviato intese con alcuni Comuni italiani, in base alle quali il sistema di versamento della tassa è automatizzato, ma per gli albergatori la mossa non è sufficiente.

CONTROLLI ANALITICI. Venendo ai numeri, come ha spiegato il presidente di Federalberghi, Bernabò Bocca, la tassa riguarda appena il 13% dei 7.915 Comuni italiani: si tratta di 1.200 località di cui 997 applicano l’imposta di soggiorno e 23 la tassa di sbarco che però ospitano il 75% dei pernottamenti registrati ogni anno in Italia. La platea potenziale è molto più ampia: sono infatti circa 3.700 i centri capoluoghi di provincia, località turistiche e città d’arte che, in base al decreto legislativo 23/2011, hanno la facoltà di istituire l’imposta di soggiorno. (continua)

Fonte: LaVerità