Immobile concesso in comodato: chi paga i lavori di ristrutturazione?

La vicenda. Capita spesso che i genitori concedano in comodato un immobile di loro proprietà alla figlia (o al figlio) affinché vi conduca la propria vita familiare.

Tuttavia cosa accade se si svolgono dei lavori di ristrutturazione e poi l’immobile viene restituito? Oppure se il convivente apporta delle migliorie alla casa e successivamente la convivenza cessa? Di seguito la risposta a questi interrogativi.

Migliorie e lavori effettuati nella casa concessa in comodato. L’art. 1808 c.c. statuisce che il comodatario, ossia il soggetto che fruisce gratuitamente del bene, non abbia diritto al rimborso delle spese affrontate per servirsi della cosa.

La rifusione di quanto versato è prevista in un unico caso: qualora le spese straordinarie sostenute siano necessarie ed urgenti.

Al di fuori di questa circostanza, il comodante non deve nulla al comodatario.Anzi, se il comodatario, al fine di utilizzare la cosa, si trova ad affrontare spese di manutenzione, anche straordinaria, può liberamente scegliere se sostenerle o meno.

Tuttavia, se decide di effettuarle, lo fa nel suo esclusivo interesse e non può pretenderne il rimborso dal comodante (Cass. 15543/2002; Cass. 1216/2012).

Azione di arricchimento senza causa. Il comodatario, quindi, non ha titolo per esperire l’azione di illecito arricchimento. L’art. 2041 c.c., infatti, rappresenta un’azione sussidiaria, che non può essere usata in alternativa subordinata a quella contrattuale (Cass. 1216/2012).

In altre parole, qualora l’azione contrattuale sia configurabile, ma non consenta il recupero dell’utilità trasferita alla controparte, non è possibile ricorrere ad altre azioni, ed in particolare a quella di arricchimento senza causa.

Essa, infatti, è finalizzata ad impedire spostamenti patrimoniali privi di giusta causa tra soggetti terzi per l’inesistenza o la nullità di un rapporto contrattuale.

Spese sostenute dal convivente nell’immobile in comodato adibito a casa familiare. Le spese sostenute dal convivente,nella casa concessa in comodato, sono ripetibili al momento della rottura della convivenza?Come già detto, il contratto di comodato prevede che il comodatario non abbia diritto al rimborso delle spese sostenute per servirsi della cosa (art. 1808 c.c.).

Anche nella circostanza in cui vi siano stati dei miglioramenti, non è dovuto alcun indennizzo, salvo il caso in cui i lavori non siano risultati necessari per far fronte ad improcrastinabili esigenze di conservazione della cosa.

Secondo la Cassazione «il comodatario che, al fine di utilizzare la cosa, debba affrontare spese di manutenzione può liberamente scegliere se provvedervi o meno, ma, se decide di affrontarle, lo fa nel suo esclusivo interesse e non può, conseguentemente, pretenderne il rimborso dal comodante.

Ne consegue che se un genitore concede un immobile in comodato per l’abitazione della costituenda famiglia, egli non è obbligato al rimborso delle spese, non necessarie né urgenti, sostenute da uno dei coniugi durante la convivenza familiare per la migliore sistemazione dell’abitazione coniugale»(Cass. 1216/2012). La medesima giurisprudenza ha, del resto, escluso la possibilità che il comodatario, per ottenere il rimborso, possa esperire l’azione ex art. 2041 c.c. di ripetizione dell’indebito, in alternativa subordinata a quella contrattuale.

Equo indennizzo. Il comodato ad uso abitativo costituisce detenzione e non possesso, sia per quanto riguarda il comodatario che i suoi familiari conviventi.

La suddetta distinzione assume particolare rilievo in quanto comporta l’impossibilità di applicare l’art. 1150 c.c. al comodatario.

La norma in oggetto, infatti, trova applicazione unicamente in materia di possesso e dispone il diritto al rimborso per le spese straordinarie, oltre ad un’indennità per le migliore apportate. Tuttavia, trattandosi di una disposizione eccezionale, non è applicabile analogicamente.

Parimenti, non è estensibile al comodatario l’art. 936 c.c.che contiene il principio dell’accessione (Cass. 7923/1992;Cass. 11374/2010).

In virtù del citato articolo, le opere effettuate da un terzo su un bene altrui, con materiali propri, vanno risarcite dal proprietario o con la corresponsione del valore dei materiali e della manodopera o con l’aumento di valore determinato dalle opere stesse. L’art. 936 c.c. postula il requisito della terzietà.

In buona sostanza, il soggetto che ha realizzato le migliorie deve essere terzo rispetto al bene, ossia non deve sussistere alcun rapporto contrattuale.

Facciamo un esempio al di fuori del comodato: un coniuge che svolga lavori nell’abitazione di proprietà dell’altro, non può invocare l’art. 936 c.c. in quanto, essendo compossessore, difetta del requisito della terzietà (Cass. 13259/2009).

Si ricorda, inoltre, che persino l’art. 1592 c.c., in materia di locazione,nega l’indennità per i miglioramenti apportati dal conduttore (in caso di spese non autorizzate).

Spese sostenute dal coniuge. Quanto detto in materia di convivenza vale anche in caso di matrimonio. Il genitore che abbia concesso in comodato l’abitazione non è tenuto al rimborso delle spese – non necessarie né urgenti – sostenute da uno dei coniugi durante la convivenza per la migliore sistemazione dell’abitazione coniugale (Cass. 2407/1998).

Vediamo ora un’ipotesi peculiare di comodato, ossia quella dell’abitazione familiare assegnata ad un coniuge; prima però occorre spiegare cosa si intenda per comodato precario e comodato a termine.

Comodato a termine e comodato precario: differenze. Nel contratto di comodato una parte consegna all’altra un bene, sia esso mobile o immobile, affinché se ne serva per un tempo ed un uso determinato, con l’obbligo di restituire la cosa ricevuta (art. 1803 c.c.).

I contraenti possono stabilire un termine per la restituzione del bene, in simili circostanze, si parla di comodato a termine.

Ai sensi dell’art. 1809 c. 1 c.c., il comodatario è obbligato a restituire la cosa alla scadenza del termine convenuto.

Il comodante, vale a dire il soggetto che concede il bene, non può pretenderne la restituzione prima della data stabilita.

Solo in casi eccezionali, allorché si palesi un urgente ed imprevedibile bisogno, il comodante può esigere la restituzione immediata del bene.

Nel comodato sine die, anche detto comodato precario, le parti non hanno convenuto alcun termine, pertanto il comodatario è tenuto a restituire il bene non appena gli venga richiesto (art. 1810 c.c.).
La principale differenza tra le due tipologie contrattuali risiede nel fatto che nel comodato a termine la cosa debba essere restituita alla scadenza e non prima, salvo casi eccezionali; mentre nel comodato precario è ammissibile la risoluzione ad nutum.

Comodato ed abitazione familiare assegnata ad un coniuge. Capita frequentemente che i genitori concedano al figlio sposato un immobile in comodato, affinché vi conduca la propria vita familiare; del pari, altrettanto spesso accade che, dopo la separazione, il giudice assegni la casa alla moglie collocataria della prole senza la possibilità, per i reali proprietari, di tornarne in possesso.

La giurisprudenza costante considera questo contratto come un comodato a termine e non come un comodato precario.

La conseguenza è che i titolari del bene non possono chiederne la restituzione ad nutum, ma, al contrario, devono dimostrare un bisogno urgente.

Infatti, secondo la Cassazione, il vincolo di destinazione del bene volto al soddisfacimento delle esigenze abitative conferisce all’immobile un termine implicito che non può considerarsi sciolto per effetto della crisi coniugale (Cass. S.U. 20448/2014).

Pertanto, il comodante deve consentire la fruizione del bene al comodatario, salvo che dimostri la sopravvenienza di un bisogno urgente ed imprevisto, che deve avere i connotati di serietà, concretezza e imminenza.

In altre parole, i proprietari dell’immobile, che nella maggioranza dei casi sono i genitori del marito, non possono chiedere alla moglie la restituzione dell’abitazione salvo che dimostrinodi averne bisogno, ma il suddetto bisogno deve qualificarsi come «serio, non voluttuario, né capriccioso o artificiosamente indotto» (Cass. 18619/2010; Cass. 4917/2011).

Conclusioni. In definitiva, nel caso di un immobile concesso in comodato ad un amico o ai figli, il comodante non è obbligato al rimborso delle spese, non necessarie né urgenti, sostenute dal comodatario per la migliore sistemazione dell’abitazione, in quanto così dispone l’art. 1808 c.c.

Inoltre, essendo il comodatario un mero detentore, non trova applicazione l’art. 1150 c.c. che, in materia di possesso, prevede il diritto a un’indennità.

Parimenti, è inapplicabile l’art. 936 c.c. in quanto il comodatario non è un terzo, come richiede la norma per aver diritto al rimborso.

Fonte : www.condominioweb.com

About Massimo Montanari
Massimo Montanari, italiano, nato a Lussemburgo il 16 luglio 1961. Formatosi in Confcommercio col ruolo di Segretario delle Delegazioni di Sarsina e Mercato Saraceno, dal 2011 ha deciso di cambiare percorso lavorativo ed ha portato il suo bagaglio di esperienza nel Settore Sindacale dell'Associazione Cesenate. Attualmente si occupa di varie categorie Sindacali all'interno di Confcommercio e tra queste quella che ha avuto i maggiori risultati in termini di aumento di Associati è proprio la F.I.M.A.A. Cesena della quale è Segretario Provinciale. Buon Tennista, è anche grande appassionato di Basket ed è attivo nel mondo del Volontariato. “Malamente opera chi dimentica ciò che ha imparato". ”Tito Maccio Plauto"

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