L’assegnazione della casa familiare al momento della separazione o divorzio.

Uno dei punti di maggiore tensione al momento della fine volontaria del matrimonio è l’assegnazione della casa familiare (il luogo dove si svolge prevalentemente la vita familiare) ex art. 155 cc 155 quater cc e 337 sexies cc e quanto questa assegnazione incide sui rapporti patrimoniali tra gli ex coniugi.

L’assegnazione della casa familiare può avere rispondere a due esigenze:

1) la prima è prevista dal legislatore e diretta a tutelare i figli della coppia di consentendo a tali soggetti di continuare a vivere in un ambiente conosciuto (evitando di subire ulteriori traumi aggiunti a quelli derivanti dalla separazione e/o divorzio); in tale ipotesi l’assegnazione della casa familiare deve avere un preciso valore al fine di essere calcolato e ponderato in vista della separazione patrimoniale dei coniugi.

2) la seconda esigenza può nascere all’autonomia privata (nell’ambito di regolare i rapporti patrimoniali tra i coniugi) e avere solo una funzione di riequilibrare il dare/avere tra i coniugi al momento della fine del matrimonio.

L’opponibilità dell’assegnazione della casa familiare nell’interesse dei figli.

La casa familiare può essere di proprietà di entrambi i coniugi, di uno dei coniugi, oppure presa in locazione o in comodato da terzi, in tutte queste situazioni sorge l’esigenza di garantire alla persona assegnataria della casa familiare l’opponibilità del suo diritto in presenza di atti di disposizione del bene immobile. L’intera questione è oggi regolata dall’art. 337 sexies cc  ha inglobato l’art. 155 quater e ha codificato alcuni principi giurisprudenziali.

Per rendere più concreto e diretto l’aspetto sopra descritto si potrebbe pensare ad un provvedimento di assegnazione al quale segue il pignoramento dell’immobile adibito a casa coniugale e chiedersi se il pignoramento è influenzato (o meno) dall’assegnazione della casa coniugale.

Su questo punto è opportuno sottolineare che mentre i coniugi hanno sempre il diritto di iniziare un procedimento per modificare o rivedere il contenuto del provvedimento di assegnazione della casa coniugale questo potere non è attribuito al terzo soggetto diverso dai coniugi (ad esempio proprietario) che ha l’esigenza di verificare se sussiste ancora il diritto di abitare la casa coniugale oppure sono venuti meno i presupposti. Il terzo ha il diritto e il potere di iniziare un autonomo procedimento di accertamento al fine di verificare l’estinzione del diritto di abitare.

Diritto di abitazione parziale.

Un altro aspetto controverso relativo al diritto di abitazione

  • è quello inerente la scelta dell’abitazione in presenza di più immobili, di cui solo uno adibito a casa familiare
  • oppure in presenza di un unico immobile solo in parte adibito a casa familiare
  • e, infine, un unico immobile adibito a casa coniugale, ma sovradimensionato rispetto le esigenze effettive della famiglia.

In presenza di diversi immobili, per casa coniugale si intende quello nel quale viene esercitata la vita della famiglia e solo questo può essere assegnato al coniuge.

Nell’ipotesi inversa, un unico immobile solo parzialmente adibito a casa coniugale, è possibile l’assegnazione come casa coniugale solo della parte dell’immobile effettivamente adibita a casa coniugale (sempre, ovviamente, che una tale possibilità sia concretamente possibile)

Diritto alla restituzione della casa coniugale sovradimensionata rispetto le esigenze della famiglia.

Nulla esclude che l’immobile adibito a casa coniugale sia talmente ampio da essere eccessivo rispetto le esigenze della famiglia dopo la separazione e/o il divorzio, basta pensare a due appartamenti adibiti a casa coniugale.

Un principio base per risolvere la questione è quello indicato nell’art. 1022 cc dal quale si evince, infatti, un principio generale secondo il quale il diritto di abitazione di una casa può essere esercitato, da colui che ne sia titolare, solo nei limiti del soddisfacimento dei bisogni suoi e della sua famiglia.

Quindi, in teoria un immobile adibito a casa coniugale può essere parzialmente svincolato dalle esigenze familiari se eccessivo rispetto i bisogni della famiglia, si tratta di un principio che considera due aspetti l’interesse a non limitare il diritto di proprietà in odo eccessivo e l’interesse dei figli a conservare le loro abitudini e legami anche in caso di separazione e divorzio.

Comodato e diritto alla restituzione della casa coniugale sovradimensionata rispetto le esigenze della famiglia.

Il principio sopra esposto si applica sia nelle ipotesi in cui l’immobile adibito a casa coniugale è di proprietà di uno o di entrambi i coniugi sia nelle ipotesi in cui l’immobile adibito a casa coniugale è concesso in comodato.

In queste situazioni, il  giudice deve dichiarare cessato il comodato limitatamente all’appartamento non necessario alle esigenze della famiglia, disponendo  il rilascio parziale dell’immobile, in quanto deve essere considerato che  per effetto della separazione e dell’allontanamento del marito dal nucleo familiare, l’occupazione dei due appartamenti  è spropositata in relazione alle esigenze abitative della sola madre e del figlio minore.

Infatti,  in sede di valutazione della domanda di rilascio dell’immobile adibito a casa familiare, proposta dal comodante, il giudice è  tenuto ad accertare, ai sensi dell’art. 1810 cod. civ, se l’uso cui il bene attribuito in comodato è  stato adibito perduri, (atteso che nel comodato senza determinazione di durata la restituzione del bene è dovuta quando è cessato l’uso cui la cosa era stata destinata).

E non può revocarsi in dubbio che (- essendo possibile, perfino in sede di assegnazione della casa familiare da parte del giudice della separazione, un’assegnazione parziale al coniuge affidatario di figli minori, se essa non contrasta con l’interesse preminente di questi ultimi ex art. 155 quater cod. civ.  -) siffatta verifica vada condotta in relazione all’intero bene, nel senso che esso debba nella sua totalità  essere adibito a casa familiare, nell’interesse dei figli minori (o maggiorenni non autosufficienti) conviventi con il coniuge.

In caso contrario, il giudice non potrà  che procedere alla restituzione, quanto meno parziale, del bene al terzo comodante, legittimo proprietario, il cui diritto dominicale non può essere ulteriormente compresso, laddove non sia giustificato dall’utilizzazione dell’intero immobile come casa familiare, nell’interesse dei figli minori o maggiorenni non autosufficienti.

Cass. civ. sez. I del 2 febbraio 2017 n 2771

Fonte: fanpage.it

About Massimo Montanari
Massimo Montanari, italiano, nato a Lussemburgo il 16 luglio 1961. Formatosi in Confcommercio col ruolo di Segretario delle Delegazioni di Sarsina e Mercato Saraceno, dal 2011 ha deciso di cambiare percorso lavorativo ed ha portato il suo bagaglio di esperienza nel Settore Sindacale dell'Associazione Cesenate. Attualmente si occupa di varie categorie Sindacali all'interno di Confcommercio e tra queste quella che ha avuto i maggiori risultati in termini di aumento di Associati è proprio la F.I.M.A.A. Cesena della quale è Segretario Provinciale. Buon Tennista, è anche grande appassionato di Basket ed è attivo nel mondo del Volontariato. “Malamente opera chi dimentica ciò che ha imparato". ”Tito Maccio Plauto"

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: