Movida: Le conseguenza del “gavettone” dal primo piano possono avere conseguenze gravi.

Carcere per l’inquilino che si fa giustizia da sé invece di ricorrere al Giudice contro gli schiamazzi
 
movidaLa presenza di vicini rumorosi: quando l’inferno è sotto casa.
Quante volte sarà capitato a chiunque viva, come di prassi, in prossimità o adiacenza di altre abitazioni, riceverne fastidi di ogni natura, specie quella sonora: tale evenienza è ancor maggiore laddove nelle vicinanze vi siano locali aperto al pubblico ed in particolar modo locali in cui la presenza si intensifica o concentra nelle ore notturne.

È il classico caso dei locali della cosiddetta “movida”, ossia quei posti frequentati dalle ore serali sino a notte fonda, in cui il ritrovo della gente fa rima con schiamazzi, musica (spesso ad elevato volume), via-vai di persone e veicoli: insomma, un inferno per chi invece voglia godersi il riposo notturno.

Ebbene, in simili circostanze non è mai semplice bilanciare tra le opposte esigenze dei contendenti: i titolari dei locali, interessati a far profitto, da una parte, ed i malcapitati residenti, desiderosi solamente di riposare, dall’altra.

Una cosa è però certa: in situazioni di tal genere occorre rivolgersi alle forze dell’ordine ed alla tutela giudiziaria, giammai farsi giustizia da sé.

L’esercizio arbitrario delle proprie ragioni.
Neppure in caso di inerzia da parte delle forze di polizia, pur chiamate in soccorso del riposo e della quiete pubblica, sarà infatti consentito ricorrere ad azioni con le quali chi ritiene di essere leso nell’esercizio di un diritto (quale è quello di non essere disturbato nella sua quiete e nel pacifico e libero godimento dei propri diritti) si fa giustizia da sé, intervenendo con atti ritorsivi e spesso violenti nei confronti di chi si ritiene l’autore o il compartecipe dell’attività ritenuta molesta.

In caso contrario il responsabile di tali “vendette” sarà punibile per il reato previsto dall’art. 393 del codice penale (Esercizio arbitrario delle proprie ragioni), che sanziona il comportamento di chi, invece di ricorrere (come pur potrebbe e dovrebbe) alla tutela giurisdizionale per far valere le proprie ragioni, ricorre alla violenza per opporsi a quelli che ritiene atti lesivi dei propri i diritti.

La pena per questo delitto è tutt’altro che lieve, potendo il responsabile finire in carcere per un periodo anche di un anno.

Il senso di tale norma è fin troppo chiaro: impedire che chiunque ritenga di essere leso in un proprio diritto, pur sapendo di poter ricorrere al Giudice per tutelare le proprie ragioni, si faccia giustizia da sé, dando altrimenti vita a quello che potrebbe davvero essere assimilato ad un far west, situazione in cui ognuno impone con la forza le proprie ragioni e vige la legge del più forte.

Uno Stato di diritto, imperniato quindi sul principio dell’osservanza delle norme e della supremazia della legge, sotto cui tutti i cittadini, eguali, devono stare, non può naturalmente ipotizzare uno scenario del genere né quindi tollerarlo.

Anche il gavettone è un atto violento.
Ricorrere alla violenza non significa necessariamente far uso della forza o aggredire fisicamente qualcuno: qualsiasi azione che sia lesiva dell’altrui libertà è un atto di violenza. Pertanto, anche gettare dell’acqua (specie se lurida…) su qualcuno costituisce un atto violento, che ben può costituire il presupposto del reato di cui si discute.

E non importa poi se l’azione ritorsiva violenta venga posta in essere nei confronti del soggetto che si ritiene stia ledendo un proprio diritto  altri: la legge punisce chi si fa giustizia da sé anche se… se la prende con la persona sbagliata.

Sporgere querela per il delitto in questione sarà pertanto diritto indistintamente sia della persona oggetto della violenza che di quella contro cui sarebbe stato più logico ritorcersi, ossia quella autore della condotta ritenuta lesiva del diritto: nel caso di schiamazzi provenienti da un locale, quindi, ove il gavettone non colpisca il proprietario ma un avventore, il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni sarà comunque perfezionato ed il diritto di querela spetterà indistintamente sia a chi sarà stato colpito dal gavettone sia a chi “riveste il ruolo di antagonista del preteso diritto vantato” (Cass. Pen., Sez. VI, sent. n. 1421/1999; 21090/2004).

Avere ragione non dà ragione.
Il delitto in parola è poi configurato ove l’azione violenta è posta in essere, come detto, al fine di porre rimedio ad una situazione che si ritiene lesiva di un diritto: nessuna importanza ha capire se il diritto che si vuole tutelare sia effettivamente leso o meno. In sostanza, non influisce sulla responsabilità penale, facendola venire meno, determinare se il soggetto che viene poi leso dall’azione di arbitraria auto-tutela stesse effettivamente violando un diritto o meno: il reato di cui all’art. 393 cod. pen. non fa distinzione tra azione violenta “giusitificata” ed azione violenta ingiustificata.

Un’azione di autotutela violenta resta quindi punibile sia che si abbia effettivamente ragione sia che non la si abbia: quel che conta è che per far valere le proprie ragioni si scelgano “le vie di fatto”, anziché ricorrere alla tutela giudiziaria come pure si sa poter e dover fare. Lo ricorda una recente pronuncia della corte di Cassazione, che ammonisce: “l’effettiva azionabilità della pretesa dell’agente in sede giurisdizionale non costituisce presupposto indefettibile per la configurabilità del reato, essendo a tal fine sufficiente la convinzione soggettiva dell’esistenza del diritto tutelabile” (Cass. Pen., Sez. VI, sent. n. 39869 del 25/09/2013).

Anzi: il reato in questione tende a sanzionare proprio quei soggetti che sapendo (o credendo) di essere nel giusto non tutelano le proprie ragioni nel modo che le norme del quieto convivere impongono (ossia rivolgendosi al Tribunale) ma ricorrono alla giustizia fai-da-te.

L’inerzia delle autorità quale causa di esclusione della punibilità.
Nessuno scampo può arrivare all’improvvisato giustiziere della notte dai vani tentativi di invocare il soccorso delle forze dell’ordine: le telefonate al 113 non esauriscono infatti gli strumenti che le leggi mettono a disposizione di chi si ritiene leso. Ciò anche nel caso di schiamazzi, disturbo della quiete e delle persone ben si può ricorrere alla tutela giudiziaria.

La consapevolezza di tale possibilità ed il preferirvi un’azione ritorsiva avrà forse effetti più rapidi ed incisivi ma esporrà l’autore della violenza al concreto e serio pericolo di passare dalla ragione al torto ed essere  poi lui punito per i propri gesti, risarcendone anche economicamente le conseguenze.

Anche se l’afa notturna non dà tregua, quindi, sarà meglio chiudere la finestra anziché spalancarla del tutto per potersi meglio affacciare col classico secchio di acqua fredda da rovesciare in testa ai presunti molestatori: meglio recarsi il giorno dopo dall’avvocato o dai Carabinieri per denuncia, che esservi chiamato perché qualcuno l’ha presentata contro di noi e ritrovarsi così con l’aggiunta della beffa al danno.

Fonte: Condominioweb  Avv. Mauro Blonda

About Massimo Montanari
Massimo Montanari, italiano, nato a Lussemburgo il 16 luglio 1961. Formatosi in Confcommercio col ruolo di Segretario delle Delegazioni di Sarsina e Mercato Saraceno, dal 2011 ha deciso di cambiare percorso lavorativo ed ha portato il suo bagaglio di esperienza nel Settore Sindacale dell'Associazione Cesenate. Attualmente si occupa di varie categorie Sindacali all'interno di Confcommercio e tra queste quella che ha avuto i maggiori risultati in termini di aumento di Associati è proprio la F.I.M.A.A. Cesena della quale è Segretario Provinciale. Buon Tennista, è anche grande appassionato di Basket ed è attivo nel mondo del Volontariato. “Malamente opera chi dimentica ciò che ha imparato". ”Tito Maccio Plauto"

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: